Costi di trasporto, confronti.
E come al solito, l’Italia e Trenitalia ne vengono fuori malissimo!
Nazione | Debito/pil > 75% | Deficit > 5% |
Italia | 116 % | 5,3 % |
Grecia | 115 % | 13,6 % |
Irlanda | OK | 14,3 % |
Belgio | 96,7 % | 6 % |
Francia | 77,6 % | 7,5 % |
Portogallo | 76,8 % | 9,4 % |
Ungheria | 78,3 % | OK |
Spagna | OK | 11,2 % |
Regno unito | OK | 11,5% |
Irlanda | OK | 14,3 % |
Olanda | OK | 5,3 % |
Settimana scorsa, tutte le agenzie, Ansa in primis, hanno sottolineato il forte balzo che l’indice Ifo ha registrato a Luglio. Un balzo che, se confrontato con lo stesso Zew, fornisce indicazioni nettamente opposte. Ma vediamo di schiarire la nebbia e le idee.
Questo che vedete è il grafico, a partire dal 1991, dei due indicatori tedeschi, lo Zew e l’ Ifo.
Tendenzialmente, tutti e due seguono il ciclo economico, e segnano correttamente le fasi di ripresa e rallentamento economico. Il fatto è che lo fanno con un tempismo molto diverso. Lo Zew, infatti, già a novembre del 2008 cominciava a rimbalzare dai suoi minimi, mentre per l’Ifo il minimo si è registrato a febbraio 2009 (3 mesi di differenza). Facendo quindi i dovuti raffronti, è facile aspettarsi già dal prossimo mese una netta inversione dell’Ifo, visto anche l’intensità che ora sta dimostrando nel suo avanzare, che rappresenta il massimo dalla sua creazione (per intensità intendo la differenza percentuale dell’indice rispetto ad un anno fa, che al dato di luglio si aggirava al 22%. Sotto si può vedere tale differenza confrontata con quella del Michigan, che può venir rappresentato come il fratello statunitense dello Zew, che infatti sta girando in negativo).
Grafico interessante quello che vi propongo oggi. Si tratta di un estratto della banca dati PEEI (eurostat), il quale fornisce annualmente un aggiornamento riguardo lo stock di debito pubblico di ogni nazione Europea. Partendo dalla media dell’Eurozona (19,20% di crescita dal 2007, anno di scoppio della crisi) è facile notare chi si è indebitato di più e chi di meno, relativamente allo stock di partenza del 2007. Per avere una lettura più corretta, bisogna sempre ribadire che ogni nazione partiva da livelli di debito/pil molto diversi tra di loro (esempio lampante è il confronto tra Italia e Spagna, per la prima sopra il 103,5%, per la seconda 36%) e quindi chi era a livelli minori ha potuto accedere più facilmente al debito per sopperire alle inevitabili cadute delle entrate fiscali, ma giustificare un esplosione di quasi il 40% (caso Spagnolo) in un solo anno dovrebbe preoccupare.
Come a preoccupare molto dovrebbe essere la Gran Bretagna. Anche lei non naviga su acque limpide e in presenza, tra l’altro, di un deficit vicino all’11,5% non credo che il mercato nei prossimi mesi sarà molto “gentile” con le sue aste di gilt.
Ricordiamoci sempre un motto di un grande economista, J. M. Keynes, che oggi rispecchia sempre più la situazione che si va a profilare:
“il mercato azionario può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa rimanere solvibile”
La questione del debito pubblico è una argomento molto interessante da analizzare. Il debito infatti rappresenta, principalmente per gli stati, la via più semplice per il finanziamento del proprio fabbisogno.
L’Italia, insieme ad altri stati come il Giappone, rappresenta la migliore cavia su cui poter discutere di debito pubblico, specialmente in un periodo in cui, oggi, ogni debito sovrano è a rischio default.
Analizziamo da un punto di vista storico il debito italiano, che ricordo, dalla riunificazione ad oggi non è mai incorso in un default.
Da un analisi prettamente storica, si riescono a delineare diversi aspetti che molti di noi sicuramente o non conoscevano o sottovalutavano. Ora provo ad elencarli.
In questi ultimi due anni (dati aggiornati a maggio 2010), la crescita del debito si è mantenuta su livelli pressoché stabili, nonostante la crisi (vedi grafico sotto). Ma le osservazioni più interessanti vengono dal confronto dei debiti dei diversi stati europei, in cui vi è una forte evidenza che, in questi ultimi anni, l’Italia ha mantenuto le redini ben salde. Infatti se ci limitiamo a osservare la crescita percentuale del debito pubblico dal 2007 al 2009, l’Italia è stata il paese europeo più prudente con un aumento che si è limitato ad un 10% (vedi grafico sotto).
Certamente, da un punto di vista nominale, la Spagna, l’Olanda e l’Irlanda contano meno, ma siamo sicuramente consci che anche un loro default, per via della moneta unica, scatenerebbe serie conseguenze anche alle nazioni più prudenti.
Questa analisi, quindi, ci ha indicato molte vie per poter capire come bisogna muoversi nel commentare la situazione debitoria di qualsiasi paese del mondo. Abbiamo capito che alche il semplice confronto di debiti pubblici di paesi diversi può portare a conclusioni molto spesso affrettate. Anche il nostro bel paese, che da molti viene definito tra i PIIGS, dalle mie osservazioni non sembra poi venirne fuori così malconcio. Anzi, dovremmo essere forse presi ad esempio per quello che è stato fatto da Tremonti negli ultimi due anni. Nessuno vorrebbe avere le responsabilità che lui ogni giorno deve sobbarcarsi, ma nonostante questo la sua figura gli permette anche di bacchettare (giustamente) tutti i vari paesi che “parlano bene e razzolano male”. Un esempio? Leggetevi questo articolo di Panorama: quello che è riuscito a cambiare Tremonti nel futuro “patto di stabilità” avrà conseguenze enormi per moltissimi stati europei.
Articolo di Panorama: debito privato, non solo pubblico
Nella pagina “I miei fogli di lavoro”, ho aggiunto il foglio excel con cui ho disegnato questi grafici. Spero possa servirvi.
Ebbene sì, questo è il risultato di un’altra analisi redatta dalla conosciutissima Ocse (Oecd in inglese). Interessantissimi alcuni passi della pubblicazione, tra cui si osservano
“Picchi del ciclo di crescita sono emerse in Francia, Italia, Cina e India e segnali di un picco stanno emergendo in Canada, Regno Unito e Brasile. Il CLI per la Germania, il Giappone, gli Stati Uniti e Russia continua ad indicare che l'espansione dell'attività in corso rischia di essere mantenuta, ma probabilmente ad un ritmo più lento.”
E’ la stessa situazione del periodo pre crisi. Le grandi locomotive tiravano (Germania) e i vagoni continuavano a campare proprio grazie alle inarrestabili locomotive. E quando la locomotiva si è fermata, abbiamo visto tutti le ripercussioni che si sono allargate persino ad un interno continente. E se anche questa volta non fosse diverso e la locomotiva ritornasse al capolinea?
Gli ultimi dati e i grafici che avete potuto osservare su questo blog certamente pongono seri dubbi sulla continuazione della ripresa, che sembrerebbe trovare il suo punto di rallentamento proprio nei prossimi mesi per rallentare definitivamente nel 2011. E segnali come ogni volta che si presentano davanti a situazione del genere ci sono tutti: mercati che hanno fatto i loro massimi a marzo (se non giàa novembre), indicatori sull’occupazione che indicano un forte rallentamento e Leading indicators europei che già ora segnalano rallentamento.
A questo punto, risulterebbe già certo almeno un rallento deciso della crescita (non intendo una recessione, un semplice rallentamento). Ma in questa situazione che si è venuta a creare, anche un semplice rallentamento provocherebbe una seconda recessione che potrebbe eguagliare se non superare la magnitudo di quella culminata con il collasso di Lehman Brothers. L’aspetto che determinerebbe tale peggioramento è evidente: gli Stati, specialmente in Europa, sono già alle prese con tentativi di contenimento del debito (dal 2007 al 2009 il debito degli stati europei è aumentato del 40%, dato che potrebbe ancora crescere fino a quasi raddoppiare nel 2010 viste le osservazioni statistiche dell’economista Rogoff) e della spesa corrente (la cosiddetta “austerity”) e lo scenario che si verrebbe a creare in caso di recessione sarebbe tragicamente negativo, perché non ci sarebbe più le possibilità di appellarsi al’ ”finanziatore di ultima istanza” (che sarebbe lo Stato) per salvare aziende, banche, istituti e l’economia in generale. Per non pensare poi ad un eventuale default di un medio-grande paese Europeo, che generebbe inoltre forti speculazioni valutarie e una fuga verso altre valute, che non necessariamente sono più sicure della nostra moneta. Per poi non dimenticare le banche centrali, che hanno di fatto giocato ormai tutte le carte e sono già infangate nella famosa trappola della liquidità
Bisogna rendersi conto che uno scenario del genere, nonostante la sua tragicità, è fortemente plausibile. La ripresa che stiamo e abbiamo vissuto in quest’ultimo anno è stato solo frutto del più semplice interventismo statale, che già oggi ha visto inesauribilmente il suo esaurirsi.
Sarà una W quindi, il cosiddetto “Double Dip”? La speranza ogni giorno svanisce e ogni notizia sembra confermarlo. Poi preoccupa ancora il forte indebitamento che l’America ancora soffre. La crisi non lo ha nemmeno attenuato, anzi si presenta in questi giorni ai livelli del Pre-Lehman. Spero proprio di riceve notizie e analisi che smentiscano in ogni punto la mia analisi, ma ogni momento che passa ogni tassello del puzzle trova il suo posto. Spero proprio che vi siano tasselli mancanti, così il puzzle non potrà mai avere compimento.
Dall’istituto Ceridian un nuovo Leading indicator che potrebbe schiarire la nebbia che in questi ultimi mesi rende offuscato ogni tentativo di previsione economica.
Il Ceridian-UCLA Pulse of Commerce Index™ (PCI) by UCLA Anderson School of Management, mira a registrare le variazioni dei consumi di combustibile all’interno degli Stati Uniti. Ora la stessa UCLA avvisa i lettori che questa battuta d’arresto dell’ultimo mese non significa inevitabilmente “Double Dip”, ma se due indizi cominciano a fare una prova…
Lo chiedo a voi, notate qualcosa che stona? Se andiamo poi oltre (i dati sono forniti dal Conference Board), nel commento della situazione americana troviamo questo passaggio:
We project a serious slowdown in European growth in 2011, which could further weaken the U.S. outlook
C’è da preoccuparsi, difficilmente il LEI (leading economic index) sbaglia le previsioni.
Poi altro aggiornamento sull’Eurocoin.
Sono già due indicatori che rispecchiano la reale situazione almeno Europea. Rischiamo seriamente il “double dip”?
Verificare l’andamento immobiliare non è certo semplice. Scegliere le città e i tipi di immobili comporta inevitabilmente diverse misure di confronto che servono solo a confondere ancora di più. Ma un noto economista, Robert Shiller, ha risolto tale problema, creando il famosissimo, Case Shiller Index, un “osservatorio immobiliare” che comprende i dati da fine 1800 ad oggi. Un lavoro bellissimo, anche perché disponibile dalla pagina del professore presso la Yale University [link].
Il picco del mercato immobiliare americano, come si ricorderanno in molti, è avvenuto nel 2006 e gli avvertimenti di crisi bancarie cominciarono verso marzo 2007, alla pubblicazione di alcune trimestrali bancarie non convincenti (pff, vado a memoria).
Son passati quattro anni, abbiamo assistito al default della Lehman Brothers, a cadute del Pil che ci hanno riportato indietro di 20 anni o più. Ma la causa scatenante della crisi (bancaria e finanziaria) come sta “messa”?
Prendendo spunto da una fonte autorevole, This time is different, di Rogoff-Reinhart, dove esiste un interessantissimo capitolo sul mercato immobiliare con molti esempi, si è osservato che mediamente la durata della caduta dei prezzi immobiliari si attesta dai quattro ai sei anni (Giappone a parte). Dal picco, inoltre, l’intensità del calo si attesta ad un –33%, che rientra anche esso nella media storica (uno dei massimi appartiene Hong Hong nel 1997, mentre la grande crisi del 1929 fece “crollare” il mercato di un –12,6%, ma tale discesa durò per ben 7 anni).
Rientriamo sulla storia, quindi, neanche questa volta era differente, tutto era prevedibile. Quindi aspettiamoci ancora cali del Case Shiller Index, davanti a noi potremmo avere ancora due anni difficilissimi.
Lo Zew, indice della fiducia europea, evidentemente continua a scontare una forte fase di rallentamento economico in Europa, confermando anche i molti segnali che abbiamo fin qui analizzato e seguito.
L’aspetto strano però è il comportamento di piazza affari, che oggi è fortemente positiva, proprio a seguito della pubblicazione dei dati. Quindi, chi ha ragione?
Per individuare “il bugiardo” guardiamo le serie storiche e mettiamole a confronto, in modo da accertare se lo Zew è un buon anticipatore del ciclo economico.
Visto questo grafico, ognuno tragga le proprie conclusione. Io la mia visione la confermo: si prevedono tempi molto duri.
Dall’ultimo aggiornamento delle richieste di disoccupazione in Us (1 luglio 2010) si è ulteriormente confermata il rallentamento del mercato occupazionale, che lentamente comincia a contrarsi. Tale tendenza è stata poi confermata dall’andamento di questi ultimi mesi del Dow Jones, che è sceso sensibilmente dai massimi di Marzo.
Se poi si volesse sfruttare tale analisi come segnali operativi, beh, non si rimarrebbe delusi!
Per chi non fosse mai stato in Cina, il Quao potrebbe assomigliare ad un verso. Per chi invece c’è stato, sentire pronunciare Quao equivale a parlare di Yuan o Reminbi.
Noti sono stati i dibattiti due settimane fa riguardo l’andamento valutario della moneta più sottovalutata del mondo (secondo stime Economist). Ma effettivamente l’interesse su una valuta così sconosciuta ma nello stesso tempo determinante porta a forti confronti.
La domanda che molti si sono posti è: ma perchè la Cina dovrebbe rivalutare la propria moneta se vive di export? Sarà il solito annuncio politico per calmare l’opinione pubblica mondiale sugli squilibri che inevitabilmente la Cina ha generato?
Nessuno potrà mai avere la visione ben definita di un gioco politico-economico troppo alto per le nostre teste. Sta di fatto che di ragioni per una rivalutazione “non repentina” ci sono tutte.
Come ogni decisione porta a svantaggi e vantaggi, anche la rivalutazione di una moneta “non libera” porta alle più disparate conseguenze. Ma se la Cina rivaluta, lo farà per un suo interesse o per il semplice fatto che la politica Americana e in parte Europea gli dà un po’ di pressione?